Quando il GIOCO si fa…SERIO!

La metodologia della formazione esperienziale.

 

Nel mondo degli adulti si associa spesso la parola “gioco” a qualcosa di distante, perché appartenente al mondo dell’infanzia, o a qualcosa di patologico se pensiamo al gioco d’azzardo. 

Ma che cosa significa realmente gioco? Per rispondere a questa domanda ci vengono in aiuto gli studi classici. Se consideriamo, infatti, la parola latina “ludus” e ci focalizziamo sulle sfumature di significato, vediamo che ludus significa gioco, svago, ma significa anche palestra, scuola. Giocare nel mondo degli adulti, infatti, significa formarsi e sviluppare quelle competenze trasversali che difficilmente si apprendono dai libri o dai contesti di apprendimento tradizionale.

Questa tipologia di formazione prende il nome di “formazione esperienziale”. La formazione esperienziale è caratterizzata proprio dai giochi indoor e outdoor e dalle “small tecniques”. Le small tecniques sono “una serie di attività di durata abbastanza breve(…) piuttosto strutturate e con regole definite, realizzabili anche indoor e che non richiedono l’utilizzo di attrezzature complesse” (Bettinelli, 2008). Sono un ottimo strumento di formazione esperienziale per condurre gli adulti fuori dalla zona di comfort e facilitare il cambiamento inteso come apprendimento e sviluppo di competenze trasversali. 

Dal punto di vista teorico-metodologico, la formazione esperienziale è stata ampiamente studiata dallo psicologo sociale statunitense Kolb, il qualche ci fornisce uno schema da seguire e da considerare quando stiamo svolgendo sessioni formative a carattere esperienziale, il cosiddetto CICLO DI KOLB:

Si parte dall’esperienza di gioco, si passa poi alla fase di osservazione riflessiva (i partecipanti si interrogano sull’esperienza ludica vissuta), segue la fase di concettualizzazione astratta (cosa ho realmente appreso dall’esperienza ludica?) e si termina con la sperimentazione (ciò che ho appreso attraverso la metafora del gioco, lo trasferisco nei contesti di vita reale).

Per sintetizzare, le caratteristiche della formazione esperienziale sono:

  • Le situazioni vissute negli ambienti formativi (come i giochi) sono “metafore” che consentono di scoprire fenomeni e processi di vita reale.
  • I partecipanti nei processi formativi esperienziali possono provare, sbagliare, “rischiare”, perché è proprio dagli errori che si genera apprendimento.
  • I partecipanti hanno un ruolo attivo ed elevato coinvolgimento emotivo.
  • Si tratta di una metodologia che non accetta un apprendimento statico del tipo “dai docenti ai partecipanti”, ma enfatizza un processo di apprendimento dinamico, in cui tutti sono coinvolti e possono generare stimoli formativi.

Per concludere, l’utilizzo dei LEGO, dello SPORT, dei GIOCHI DI RUOLO per la formazione degli adulti, sono validi stimoli per potenziare le competenze trasversali sempre più importanti nei contesti di vita lavorativa ed extra-lavorativa.

Giocare seriamente nel mondo degli adulti si può, genera apprendimento e ci ricorda la vera natura del gioco: sano divertimento e ricchezza formativa.

Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé. – Pablo Neruda

Outplacement. Quando la perdita del lavoro si traduce in nuove opportunità.

L’Outplacement è un servizio a supporto della ricollocazione professionale. Si tratta di un supporto psicologico, informativo, formativo e logistico che l’azienda datrice di lavoro offre a un dipendente in uscita, attraverso la consulenza di professionisti esperti specializzati che facilitano il percorso di costruzione di una nuova identità professionale.

La disoccupazione può avere effetti negativi sulla persona: oltre a sintomi come ansia, depressione, insoddisfazione, si riscontrano spesso condotte a rischio per la salute (ad esempio un aumento di consumo di alcool, tabacco e droghe; condotte criminali o devianti; condotte auto lesive, ecc.) e modifiche ad attività del tempo libero (la persona si concentra maggiormente su attività private e dedica minor tempo ad attività sociali, disinteressandosi della vita pubblica). Tutto dipende dalla valutazione che la persona dà del suo stato di disoccupazione: come viene percepita la disoccupazione? negativa? quanto negativa? In ogni caso, la perdita del lavoro, così come qualsiasi perdita nella vita, richiede uno sforzo e un periodo di “elaborazione del lutto”, più o meno impegnativo, per persone diverse. Essere affiancati da esperti durante questa elaborazione, aiuta ad attivare le risorse necessarie per navigare nel mare magnum del mercato del lavoro attuale e raggiungere la meta con maggiori livelli di soddisfazione, efficienza e resilienza.

Di fronte al trauma della perdita del lavoro,quindi, qual è il compito dello psicologo e degli esperti in materia? Il supporto psicologico riveste un’importanza notevole e ha tendenzialmente i seguenti obiettivi:

affiancare l’individuo nella costruzione di una nuova immagine di sé;
“accompagnare la persona” nella scoperta delle risorse dimenticate o, fino a quel momento, poco valorizzate;
guidare la persona verso una riflessione sulla qualità della vita nella sua globalità, prestando una particolare attenzione sul contesto familiare e sociale nel quale l’individuo è inserito e dal quale la persona può trarre supporto.

Riflettere su se stesso, sulle proprie capacità, sulle proprie attitudini, non è un percorso facile, soprattutto per le persone che hanno raggiunto un’età vicina alla metà della vita. Rivedersi da prospettive diverse è uno sforzo che non tutti sono in grado di compiere senza il supporto di strumenti oggettivi o la sollecitazione di altri che dall’esterno guidano in questo percorso di “scoperta”.

Essere supportati attraverso un percorso di outplacement è un’opportunità, un cammino che consente di “re-inventarsi”, ripartire più carichi e con una marcia in più nel mondo del lavoro. Un percorso di outplacement, oltre che un momento di supporto e di ricostruzione di una nuova immagine del sé, è un momento di ricerca. Le persone impegnate in un percorso di ricollocazione professionale, infatti, acquisiscono un bagaglio di informazioni:

informazioni sulle professioni e sui cambiamenti che le professioni affrontano grazie allo sviluppo tecnologico e industriale;
informazioni sul mercato del lavoro e sulle modalità di creazione dei network lavorativi;
informazioni sulle aziende.

La perdita del lavoro, quindi, se affrontata con una giusta dose di coraggio e resilienza e con il supporto adeguato si traduce in ricchezza e in nuove opportunità, perchè “da soli possiamo fare così poco; insieme possiamo fare così tanto.”

ORIENTAMENTO E PROGETTAZIONE PROFESSIONALE: i falsi miti e gli stereotipi di genere in merito alle scelte scolastico-professionali.

Il mondo del lavoro è stato segnato da profondi cambiamenti sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista socio-culturale.

Si è passati da un paradigma focalizzato sul “posto fisso” e sulla stabilità dei processi a un paradigma che lascia intravedere una vita con più professioni e una logica di apprendimento permanente.

La parola-chiave che segna la società attuale è “disoccupazione”. Si parla di disoccupazione utilizzando il sostantivo singolare e non ci accorgiamo che ci troviamo di fronte a un bias linguistico che ci fa dimenticare le diverse sfumature di questo fenomeno.

Abbiamo, infatti, diverse tipologie di disoccupazione, tra cui:

-La disoccupazione frizionale, una forma di disoccupazione che interessa le persone alla ricerca del primo impiego o che stanno cambiando lavoro. Deriva dall’asimmetria presente tra “chi cerca lavoro” e “cosa offre il mercato del lavoro”.

-La disoccupazione volontariariguarda le persone che non cercano lavoro per scelta personale, perché in attesa di un’occupazione perfettamente coerente con il profilo professionale.

-La disoccupazione involontaria, deriva dalla domanda insufficiente da parte delle imprese o dalla crisi del mercato del lavoro.

Tra i protagonisti della moderna disoccupazione emergono i “NEET”, giovani definiti spesso come “giovani della zona grigia”, sono sia giovani che vorrebbero un impiego ma non lo trovano, sia giovani che abbandonano la scuola senza trovare lavoro. Si tratta di un fenomeno complesso per la molteplicità di motivazioni che possono condurre le nuove generazioni verso questa “zona grigia”. I neet sono definiti anche come “giovani dal futuro sospeso o interrotto”, ma semplicemente perché non sono in grado di individuarlo o progettarlo.

Gli psicologi e gli esperti in politiche attive del lavoro devono supportare i neet e i giovani nell’individuazione e progettazione del loro futuro, al fine di condurli fuori dalla zona grigia e per far vedere loro la possibilità di configurare nuovi scenari possibili in cui loro sono i protagonisti e artefici della loro vita.

Abbattere i muri tra giovani e lavoro deve diventare la priorità dell’Agenda del nostro paese. Come? Sicuramente l’orientamento riveste un ruolo fondamentale, se caratterizzato da “buone” pratiche fondate scientificamente e non da “falsi miti”.

Orientare, infatti, non significa consigliare o suggerire, non significa partecipare semplicemente a fiere, mostre e saloni, ma l’orientamento “riguarda l’erogazione di aiuti finalizzati a supportare la persona nelle operazioni di raccolta, processazione ed uso delle informazioni di tipo formativo e professionale e nella pianificazione delle sue decisioni in merito puntando, nel limite del possibile, all’incremento delle abilità in tutto ciò implicate ” (Soresi, 2000). Dal punto di vista pratico, quindi, l’orientamento e gli interventi di progettazione professionale devono: instillare speranza, fiducia e ottimismo, favorire la prontezza e la career adaptability, incentivare l’apertura mentale e ridurre la propensione ad aderire a visioni stereotipate. Quest’ultimo aspetto merita una notevole attenzione nell’ambito dei processi di orientamento, in quanto aderire a visioni professionali stereotipate compromette le scelte scolastico-professionali degli adolescenti, scoraggiandoli ad intraprendere percorsi formativi semplicemente sulla base del genere sessuale.

Gli stereotipi professionali generano falsi miti e false credenze che portano a dipingere con il colore blu le professioni scientifiche e tecnologiche e con il colore rosa le professioni socio-educative. Una delle conseguenze dell’utilizzo di visioni stereotipate nell’ambito delle scelte professionali è la segregazione occupazionale “orizzontale”, cioè ancora oggi vediamo una presenza statisticamente diversa di donne e uomini in determinati settori professionali. Comprendere che le scelte non hanno colori è tra i primi passi per promuovere uguaglianza di genere nel mondo lavorativo e per non “tarpare le ali” alle persone di fronte alla progettazione del loro futuro personale e professionale.