Cambia abitudine : fermati e affila la lama…

Psicologa Psicoterapeuta 

Filardi Rosita 

Oggi vi racconto una storia …..una storia molto attuale in questo momento …ma sempre valida !

C’erano una volta due boscaioli che lavoravano nello stesso bosco.

Entrambi erano forti e vigorosi e avevano una ferrea forza di volontà. Le loro capacità erano molto simili e perciò un giorno decisero di fare una gara per stabilire chi dei due fosse più bravo a tagliare legna.

Trovati due alberi che avevano il tronco di uguale grandezza si misero all’opera per vedere chi avesse abbattuto per primo il proprio albero.

I tronchi avevano dimensioni ragguardevoli e ci sarebbero volute diverse ore prima di riuscire a tagliarli.

I due alberi erano posti a una certa distanza uno dall’altro tanto che ognuno dei due uomini non vedeva cosa faceva l’altro. Tuttavia si riusciva a sentire il rumore dell’ascia che picchiava sul legno.

Il primo taglialegna si mise di buona lena e con ritmo incalzante a tagliare il tronco. Non si fermava mai se non per qualche secondo per prendere fiato. Durante queste fugaci pause si accorse che il suo avversario effettuava delle pause di almeno dieci minuti ogni ora. Resosi conto di ciò si sentì più tranquillo riguardo alle sue possibilità di vittoria, pur tuttavia non diminuendo il suo impegno della gara. Giunse il tramonto e con esso il termine stabilito per la gara.

Il primo boscaiolo ancora non aveva finito di tagliare il proprio albero. Per verificare a che punto fosse il suo rivale andò a vedere a che punto fosse arrivato. Con sua grande sorpresa vide l’enorme tronco già tagliato.

– Com’è possibile? – chiese stupito – Io non mi sono mai fermato e non ho abbattuto l’albero e tu invece, che ti fermavi dieci minuti ogni ora hai già finito!

– È vero che mi fermavo – rispose calmo l’altro – ma durante quelle pause affilavo la lama della mia scure.

Insegnamento : prendersi del tempo non significa necessariamente perdere tempo.

Quando la vita ci chiede di fermarci basta ascoltarla, prendere  un bel respiro e affilare la propria  lama.

La metafora dell’albero da abbattere è stata usata anche da Abramo Lincoln. Sua la frase: «Se avessi a disposizione otto ore per abbattere un albero, ne passerei sei ad affilare l’ascia».

Fermarsi per affilare la lama non è una perdita di tempo

Se questo è evidente a tutti quelli che leggono o ascoltano la storia del boscaiolo, non è altrettanto evidente quando, nella vita di ogni giorno, si parla di fermarsi per riflettere, riposare, formarsi.

Nel turbinio della quotidianità, l’unica cosa che conta è “fare”.

Ma se non si “fa” con cognizione di causa, se non si hanno a disposizione gli strumenti giusti, è solo una fatica che non ci porterà a nulla se non a perdere più tempo e ad affaticarci, riducendo la possibilità di portare a casa dei risultati.

In questo momento, è fondamentale fermarsi e continuare a formarsi, ad aggiornarsi, aprirsi alle novità, per acquisire quel bagaglio culturale che ci permetta di affilare competenze e conoscenze.

Non solo. Bisogna anche concedersi del tempo per riflettere sul futuro e sul passato, per imparare dalle nostre esperienze e crescere come persone e come professionisti. Non da ultimo, anche il riposo deve tornare ad avere il giusto peso nelle nostre vite. Staccare la spina, quando serve, aiuta poi a vedere le cose più chiaramente.

La storia che vi ho raccontato la trovate nel libro “Le sette regole per avere successo “ di Covey . 

In questo caso, la settima abitudine “affila la lama” può essere messa in pratica: fai le cose che sei bravo a fare e lascia gli altri fare quello che loro sanno fare. Non solo aumenterai la tua efficacia e produttività, ma contribuirai a far crescere l’economia della tua comunità.

  • Utilizza al massimo le risorse altrui: conoscenza, energia, denaro, idee, contatti… diventa un gestore di risorse.
  • Decidi di prendere momenti per te e i tuoi cari. Spegni il telefonino, la TV e la radio. 
  • Prendi informazioni solo da fonti ufficiali. 
  • Leggi, accendere il computer in un tempo dedicato, condividi i tuoi momenti attraverso i social. 
  • Alterna momenti in cui lasci che il tuo cervello si riposi e si ricarichi passando del tempo con chi ami e ti ama.
  • Incomincia a dedicare tutta la tua attenzione a ciò che fai, sempre. Sii più consapevole di quello che fai. Chiedi a te stesso continuamente, qual è il mio obiettivo, quali sono le motivazioni per fare questo, cosa voglio raggiungere, qual è il modo migliore per farlo?

Sarai sorpreso di quanto aumenterà la tua efficacia. Bastano pochi accorgimenti per migliorare la tua vita, l’importante è fare qualcosa e farlo continuamente.

Pertanto, approfitta di questo momento che stiamo vivendo, per riposare la tua mente e il tuo corpo. Passa un po’ di tempo di qualità con i tuoi cari e soprattutto prenditi un po’ di tempo per te stesso e per la tua attività informandoti e programmandone delle nuove…non sappiamo come finirà, ne quando finirà tutto questo ma sappiamo che si tratta di una sfida da vincere e dobbiamo metterci tutte le nostre forze.

#andratuttobene

La metafora con i bambini

La stanza dei giochi: il bambino in terapia familiare
Parlando di metafore, la tematica prende forma e ci trasporta ancor più quando si utilizzano con i bambini. La metafora con i bambini manifesta tutta la sua efficacia nella cornice della spontaneità, ed è per i piccoli un valido linguaggio di comunicazione, capace   di mediare il cambiamento in modo gradevole e fantasioso.  Inoltre, le metafore sono un modo per fornire ai piccoli pazienti esperienze, che potrebbero equipaggiarli di abilità adeguate in situazioni di vita reale. Non solo, l’uso della metafora terapeutica per bambini, aiuta a costruire capacità di problem solving ma favorisce, anche, la consapevolezza di emozioni vissute e accresce l’intelligenza emotiva.  Nell’intervento con i bambini il terapeuta deve fare molta attenzione a non porre limiti ai processi di pensiero del piccolo e considerare che il setting terapeutico familiare con un bambino è diverso rispetto a quello con una famiglia di soli adulti.   A proposito, la stanza di terapia con un bimbo si configura come “stanza dei giochi”, luogo dove il piccolo può manifestare se stesso senza alcuna paura. Ed è qui, che giochi, colori e oggetti di vario genere, misti ad un efficace rapporto terapeutico costituiscono la base per un buon punto di partenza della terapia.
Obiettivo principale del terapeuta, quando è nella stanza con il bambino, è di entrare in contatto con il pensiero del piccolo, esplorare la stanza per conoscersi a vicenda (nel modo particolarissimo in cui lo sanno fare solo i bambini) e dialogare mediante elementi giocosi e/o divertenti, per affrontare argomenti anche molto seri.  La modalità di dialogo tra il terapeuta e il bambino è il principio basilare della comunicazione.
Affinché una comunicazione sia più efficace, il terapeuta deve accomodarsi al piccolo paziente, coordinarsi sui tempi, le pause, il tono e ritmo della del linguaggio bambino. Inoltre, per il terapeuta, che deve avvicinarsi al piccolo paziente, è di fondamentale importanza rivivere i momenti di spontaneità, le fantasie, le gioie di quando si era bambini e utilizzarli come validi strumenti terapeutici. Guardare al bambino che abbiamo dentro è l’elemento sul quale si costruisce il rapporto terapeutico. Nell’ultimo decennio varie ricerche hanno indagato sull’uso terapeutico della metafora con i bambini e si è venuti alla conclusione, che le metafore possono essere utilizzate per:
· Catturare l’attenzione;
· Stimolare il desiderio di apprendere;
· Suscitare l’aspettativa di apprendere;
· Preparare a ciò che verrà in seguito;
· Conoscere le emozioni;
· Evitare il confronto diretto con argomenti potenzialmente angoscianti,
· Ravvivare l’immaginazione;
· Sollecitare con parole e nozioni nuove;
· Arricchire le conoscenze del bambino.
La medesima ricerca ha sottolineato, che non tutti i bambini rispondono al “potere” delle metafore. Alcuni, vuoi per la loro età cronologica, vuoi per lo sviluppo cognitivo possono pensare in modo molto concreto e poco astratto. Per tanto sta nel terapeuta essere un ottimo osservatore e conoscere il più possibile l’universo del piccolo, per rendere la metafora efficace nel favorire il cambiamento e la crescita.
Bambini: fantasia e metafore
“I bambini sono la migliore palestra per avvicinarci alla metafora”
I bambini sono, in genere, molto ricettivi alle metafore e seppure inconsciamente hanno grande dimestichezza ad utilizzarle. Spesso preferiscono ascoltare storie, raccontarle o rappresentarle graficamente.  Nella nostra cultura, gran parte dell’identità infantile è costellata da metafore. Storie, fiabe, cartoni animati, eroi dei film, sono il cibo quotidiano di cui si nutrono bambini e adolescenti. Anche la funzione parentale di modello del ruolo, può essere vista come procedimento metaforico, attraverso il quale il bambino acquisisce il modo di agire “come se” fosse il genitore. La naturalezza con la quale i bambini recepiscono la metafora è una caratteristica dell’infanzia. Così come la fantasia: processo naturale e innato attraverso il quale il bambino impara a dare un senso al mondo esterno.
La fantasia è stata, per lunghi anni, considerata con una funzione genetica e biologica. Pearce fa notare che vi sono due diversi giochi per la crescita del bambino sano. Uno è il gioco per imitazione, dove il piccolo riproduce ciò che vede, l’altro è il gioco simbolico o di fantasia, in cui un oggetto viene trasformato in qualcosa di diverso dalla sua realtà esterna. Questa “metafora di creazione” rappresenta il processo interiore di apprendimento del bambino. Il bambino, in questo modo, trasforma ciò che apprende in un gioco e inconsciamente, intessendo fantasia e creatività, favorisce l’integrazione. Tante sono state le teorie sul processo creativo del gioco e della fantasia. Ricordiamo, che Freud ha sempre sostenuto che la fantasia si sviluppasse dalla privazione e che esprimesse un bisogno dell’esaudimento di un desiderio. Bettlheim amplia il pensiero freudiano, sottolinea l’importanza della fantasia nelle funzioni essenziali della crescita e fa notare come la fantasia spesso salva i bambini dai fallimenti e li aiuta ad affrontare problemi emotivi tipici di alcuni fasi dello sviluppo.  La Montessori considerò la fantasia una tendenza patologica sfavorevole che facilita l’emergere di difetti caratteriali. Del tutto divergente al pensiero della Montessori fu quello di Piaget, che sosteneva il ruolo della fantasia data l’importanza per lo sviluppo cognitivo e sensoriale-motorio del bambino. I giochi simbolici e immaginativi, sono considerati strumenti di crescita della motilità e dello sviluppo consapevole cognitivo-spaziale. Da recenti studi è emerso, che la fantasia può funzionare secondo entrambe le modalità, compensatrice e creativa. Di fatti, i bambini possono usare la fantasia sia per cambiare situazioni spiacevoli e appagare bisogni non soddisfatti, sia per sviluppare capacità puramente creative.
La Axline, pone l’attenzione sulla necessità che il terapeuta debba viaggiare con fantasia di un bambino “senza porvi ordine per dargli un senso”. Inoltre l’autrice fa notare, che ciò che ha senso ed è terapeutico per un bambino, troppo spesso, è considerato insignificante per l’adulto.
Erickson differenzia la fantasia cosciente da quella inconscia. La fantasia cosciente è un modo per appagare un desiderio, ad esempio compiere imprese pur non essendo portati. Le fantasie inconsce, sono comunicazioni della mente inconscia di significative potenzialità che la nostra parte conscia mette in atto appena trova l’occasione giusta. Oaklander sostiene, che nel lavoro con i bambini la fantasia ha un ruolo importante, sia come fonte di divertimento, sia come specchio dei processi vitali interiori del bambino. Attraverso la fantasia si possono esprimere velate paure, descrivere silenziosi desideri e agire problemi.
Conoscere il mondo dei piccoli
«Passeggiavo lungo le vie del centro.
Davanti a me, seduto su un muretto, un uomo dalla lunga barba bianca scolpiva su una pietra.
Le sue mani crearono un uccello dalle enormi ali. Io, affascinata da quanto i miei occhi avevano visto, mi domandavo se sarei mai stata capace di esaltare qualità impercettibili, con la stessa naturalezza e semplicità.»
Si dice che Milton Erickson, maestro della psicoterapia basata sulle metafore, quando gli fu chiesto quali fossero le variabili più importanti per la psicoterapia rispose: “osservare, osservare, osservare”. Prima di utilizzare le metafore nel processo psicoterapeutico è importante osservare il comportamento dei bambini o degli adolescenti. Guardare cos’è che tiene desta la loro attenzione, riconoscere le minime risposte comportamentali e osservare il loro modo di interagire. Fortunatamente i bambini tendono ad essere più espressivi e meno vincolati alle convenzioni sociali rispetto agli adulti. Pertanto, durante la psicoterapia possono essere attenti, irrequieti o distratti, possono interrompere per fare domande, mostrare in modo chiaro ed esplicito i loro interessi o celarli dietro uno guardo riservato e timido. Inoltre, i bambini, così come gli adulti, non comunicano solo con il verbale; in loro possiamo cogliere chiari messaggi anche attraverso il non verbale e questi sono segnali minimi: indicatori di esperienze familiari del bambino.
I segnali minimi, sono la base affinché si possano creare delle metafore familiari al piccolo paziente e facilmente accettabili. Cerchiamo, ora, di capirne di più sui segnali minimi per disporre delle indicazioni che ci agevolano il percorso al mondo dei bambini.
Noi tutti abbiamo l’esperienza per riconoscerli e rispondervi. In particolare, i genitori ci forniscono un ottimo esempio. Nel giro di pochi giorni dalla nascita del loro piccolo, imparano un complesso ricercato assortimento di segnali minimi. Di fatto, prima della nascita il bambino impara a comunicare inizialmente con la madre, che ne percepisce i movimenti, la crescita e il temperamento. Non appena il bambino viene al mondo entrambi i genitori cominciano ad acquisire un linguaggio nuovo. La madre impara a capire quando è il momento di nutrire il suo piccolo, quando è sazio, quando vuole dormire ecc. I genitori imparano a rispondere ai piccoli movimenti del viso che segnalano l’inizio di qualche disturbo.
Quindi, anche se in questo periodo il bambino non possiede alcuna capacità di linguaggio, è evidente che tra il piccolo e i genitori è presente una forma di comunicazione per poter esprimere bisogni e sensazioni. Di fatto, in ogni stadio dello sviluppo, sin dalla nascita emerge spontaneamente fra genitori e bambino un nuovo e complesso accomodamento dei segnali minimi. La capacità di rispondere ai segnali minimi è uno degli strumenti terapeutici di maggiore efficacia di cui uno psicoterapeuta possa disporre. Ed è solo mediante l’identificazione e l’abilità a dare una risposta, che si apre una finestra sull’esperienza personale del bambino. Ad esempio il fatto di adeguarsi al tipo di linguaggio e di servirsene può aiutare il terapeuta a crearsi una propria esperienza interiore delle sensazioni che può avere il bambino e nel contempo, il piccolo sente il terapeuta più similare al suo modo di essere e si predispone a condividere il proprio mondo. Il terapeuta deve sentire nella stanza il piccolo paziente e vedere, ascoltare ed esperire per trovare dentro sé l’emozione, che il bimbo racconta.
Il riconoscimento dell’importanza dei segnali minimi si ebbe negli anni ’60 con l’emergere delle terapie del corpo. Il linguaggio non verbale del corpo divenne allora un nuovo e valido punto su cui gli psicoterapeuti dovevano concentrare la loro attenzione.
Approcci specifici per riconoscere e utilizzare i segnali minimi si trovano nell’opera di Erickson. Erickson andava silenziosamente sviluppando il proprio metodo innovatore di osservazione e utilizzazione di quelli che chiamò minimal cues (segnali minimi) assai prima che si formasse il movimento della terapia del corpo. In questo caso, egli attinse dalle esperienze della propria infanzia e adolescenza, elaborando tutto quanto da bambino gli era naturale. La curiosità infantile e l’osservazione minuziosa (tipica di tutti i bimbi), fu per Erickson il principio base delle sue terapie. Così come, l’utilizzo dei propri ricordi e delle proprie associazioni sono altri strumenti importanti per percepire e comprendere i segnali minimi, affinché si possa conoscere il mondo dei piccoli e indurre significativi movimenti emotivo.
L’approccio di “utilizzazione” alla sintomatologia risale ad Erickson, il quale ha sostenuto, che accettare i sintomi presentati dal paziente inserendoli nella strategia del trattamento è funzionale all’efficacia delle metafore. Un’efficace metafora terapeutica deve essere costruita su tutte le informazioni e su tutti i comportamenti presentati in modo conscio o inconscio dal bambino. Pertanto, anche i sintomi rientrano in quelle informazioni utili alla creazione delle metafore terapeutiche.
Ad oggi le posizioni prevalenti sull’origine e il trattamento dei sintomi si possono classificare in quattro punti.
Una prima teoria ritiene che i sintomi siano manifestazioni di esperienze traumatiche del passato, che risalgono, generalmente, alla prima infanzia o alla fanciullezza e, che possono essere risolti con un ritorno alla causa che li ha originati. Questo percorso a ritroso può avere carattere cognitivo e analitico, oppure può verificarsi perché stimolato da una intensa emozione. In entrambi i casi, la relazione con la causa di origine è considerata la l’agente su cui si basa la guarigione.
La seconda posizione vede nei sintomi il risultato di esperienze che condizionano di un apprendimento carente. Il trattamento è incentrato sul presente e mira a strutturare le esperienze cognitive del riapprendi mento. In questo approccio il concetto di causa originatrice è irrilevante.
La terza posizione ha una concezione psiconeurofisiologica dei sintomi, considerando sia le componenti organiche, sia quelle comportamentali. Secondo questo approccio, per stabilire l’eziologia dei sintomi si prendono in esame i fattori genetici e biochimici, unitamente alle influenze ambientali.
La quarta posizione considera il sintomo come un messaggio del’inconscio, utilizzabile per la sua stessa risoluzione, senza tener conto delle cause del passato. Erickson è stato il massimo esponente di quest’ultima teorizzazione e ha insistito sull’importanza dell’alleviamento del sintomo, prima di procedere all’indagine di qualsiasi altro fattore psicodinamico. La specificità della tecnica di Erickson nell’utilizzare il sintomo per provocare l’eliminazione, ci da un tipo di modello dove il sintomo stesso può essere trasformato nella soluzione.    Secondo questo approccio il terapeuta deve dare poco spazio alla rigorosa aderenza delle procedure terapeutiche convenzionali.   Erickson stesso era noto per la disponibilità e l’elasticità con cui offriva la sua terapia.   Certo, occorre fissare dei limiti; non ci si può attendere dai terapeuti che siano pronti a qualsiasi cosa, così come faceva Erickson. L’importante è, che l’elasticità di far terapia può rivelare dimensioni del trattamento, in altro modo impossibili da emergere.
Utilizzare il sintomo che si presenta significa, che ogni approccio è pertinente in relazione agli elementi di ogni determinata situazione clinica. Per taluni pazienti potrebbe essere valido un intervento nettamente cognitivo, per altri un’esperienza catartica sarebbe più utile e per altri ancora, potrebbe essere più adeguata una tecnica diretta di modificazione del comportamento. Pertanto, si può affermare che: sono i bisogni e la sintomatologia del paziente a stabilire il tipo di intervento specifico.
All’internodi questa cornice dobbiamo inserire l’approccio alla terapia infantile, peraltro molto vicino alla visione sistemica. I sintomi sono considerati come il risultato di risorse bloccate, ossia come il blocco delle capacità e potenzialità del bambino e non come manifestazione di patologia psichica o sociale.
I blocchi hanno origine dalla corretta o falsa percezione che il bambino ha dei vissuti esperenziali. Problemi relativi alla famiglia, alle amicizie e scolastici possono determinare un sovraccarico di pressioni che bloccano le naturali capacità funzionali e potenzialità di apprendimento del bambino. A causa di questo sovraccarico si ostacola il modo di sentire del bambino e di conseguenza quello di agire è diverso da quello del suo vero sé. Quando il piccolo non riesce ad essere se stesso, le risorse interne della sua personalità non sono prontamente disponibili. I sintomi, che in questo caso consideriamo comunicazione simbolica o metaforica dell’inconscio, non solo segnalano una sofferenza nell’ambito del sistema, ma ne forniscono un’attenta descrizione. Pertanto, il sintomo è il mezzo di comunicazione del messaggio. Heller sostiene che tutti i disturbi e sintomi sono delle metafore che contengono la storia di ciò che è il problema. Il terapeuta ha l’onere di realizzare metafore, che racchiudono una storia, all’interno della quale è possibile trovare eventuali soluzioni. «La metafora è il messaggio».
Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988. Cit. p 42
Cfr. Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988.
Cfr. Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988.
Stern N. D., “La costellazione materna” , Bollati Borigheri, Torino, 2003
Terapia primaria, bioenergetica, terapia reichiana.
Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988. Cit. p 62

La stanza dei giochi: il bambino in terapia familiare
Parlando di metafore, la tematica prende forma e ci trasporta ancor più quando si utilizzano con i bambini. La metafora con i bambini manifesta tutta la sua efficacia nella cornice della spontaneità, ed è per i piccoli un valido linguaggio di comunicazione, capace   di mediare il cambiamento in modo gradevole e fantasioso.  Inoltre, le metafore sono un modo per fornire ai piccoli pazienti esperienze, che potrebbero equipaggiarli di abilità adeguate in situazioni di vita reale. Non solo, l’uso della metafora terapeutica per bambini, aiuta a costruire capacità di problem solving ma favorisce, anche, la consapevolezza di emozioni vissute e accresce l’intelligenza emotiva.  Nell’intervento con i bambini il terapeuta deve fare molta attenzione a non porre limiti ai processi di pensiero del piccolo e considerare che il setting terapeutico familiare con un bambino è diverso rispetto a quello con una famiglia di soli adulti.   A proposito, la stanza di terapia con un bimbo si configura come “stanza dei giochi”, luogo dove il piccolo può manifestare se stesso senza alcuna paura. Ed è qui, che giochi, colori e oggetti di vario genere, misti ad un efficace rapporto terapeutico costituiscono la base per un buon punto di partenza della terapia.Obiettivo principale del terapeuta, quando è nella stanza con il bambino, è di entrare in contatto con il pensiero del piccolo, esplorare la stanza per conoscersi a vicenda (nel modo particolarissimo in cui lo sanno fare solo i bambini) e dialogare mediante elementi giocosi e/o divertenti, per affrontare argomenti anche molto seri.  La modalità di dialogo tra il terapeuta e il bambino è il principio basilare della comunicazione.
Affinché una comunicazione sia più efficace, il terapeuta deve accomodarsi al piccolo paziente, coordinarsi sui tempi, le pause, il tono e ritmo della del linguaggio bambino. Inoltre, per il terapeuta, che deve avvicinarsi al piccolo paziente, è di fondamentale importanza rivivere i momenti di spontaneità, le fantasie, le gioie di quando si era bambini e utilizzarli come validi strumenti terapeutici. Guardare al bambino che abbiamo dentro è l’elemento sul quale si costruisce il rapporto terapeutico. Nell’ultimo decennio varie ricerche hanno indagato sull’uso terapeutico della metafora con i bambini e si è venuti alla conclusione, che le metafore possono essere utilizzate per:· Catturare l’attenzione;· Stimolare il desiderio di apprendere;· Suscitare l’aspettativa di apprendere;· Preparare a ciò che verrà in seguito;· Conoscere le emozioni;· Evitare il confronto diretto con argomenti potenzialmente angoscianti,· Ravvivare l’immaginazione;· Sollecitare con parole e nozioni nuove;· Arricchire le conoscenze del bambino.La medesima ricerca ha sottolineato, che non tutti i bambini rispondono al “potere” delle metafore. Alcuni, vuoi per la loro età cronologica, vuoi per lo sviluppo cognitivo possono pensare in modo molto concreto e poco astratto. Per tanto sta nel terapeuta essere un ottimo osservatore e conoscere il più possibile l’universo del piccolo, per rendere la metafora efficace nel favorire il cambiamento e la crescita.
Bambini: fantasia e metafore“I bambini sono la migliore palestra per avvicinarci alla metafora”I bambini sono, in genere, molto ricettivi alle metafore e seppure inconsciamente hanno grande dimestichezza ad utilizzarle. Spesso preferiscono ascoltare storie, raccontarle o rappresentarle graficamente.  Nella nostra cultura, gran parte dell’identità infantile è costellata da metafore. Storie, fiabe, cartoni animati, eroi dei film, sono il cibo quotidiano di cui si nutrono bambini e adolescenti. Anche la funzione parentale di modello del ruolo, può essere vista come procedimento metaforico, attraverso il quale il bambino acquisisce il modo di agire “come se” fosse il genitore. La naturalezza con la quale i bambini recepiscono la metafora è una caratteristica dell’infanzia. Così come la fantasia: processo naturale e innato attraverso il quale il bambino impara a dare un senso al mondo esterno. La fantasia è stata, per lunghi anni, considerata con una funzione genetica e biologica. Pearce fa notare che vi sono due diversi giochi per la crescita del bambino sano. Uno è il gioco per imitazione, dove il piccolo riproduce ciò che vede, l’altro è il gioco simbolico o di fantasia, in cui un oggetto viene trasformato in qualcosa di diverso dalla sua realtà esterna. Questa “metafora di creazione” rappresenta il processo interiore di apprendimento del bambino. Il bambino, in questo modo, trasforma ciò che apprende in un gioco e inconsciamente, intessendo fantasia e creatività, favorisce l’integrazione. Tante sono state le teorie sul processo creativo del gioco e della fantasia. Ricordiamo, che Freud ha sempre sostenuto che la fantasia si sviluppasse dalla privazione e che esprimesse un bisogno dell’esaudimento di un desiderio. Bettlheim amplia il pensiero freudiano, sottolinea l’importanza della fantasia nelle funzioni essenziali della crescita e fa notare come la fantasia spesso salva i bambini dai fallimenti e li aiuta ad affrontare problemi emotivi tipici di alcuni fasi dello sviluppo.  La Montessori considerò la fantasia una tendenza patologica sfavorevole che facilita l’emergere di difetti caratteriali. Del tutto divergente al pensiero della Montessori fu quello di Piaget, che sosteneva il ruolo della fantasia data l’importanza per lo sviluppo cognitivo e sensoriale-motorio del bambino. I giochi simbolici e immaginativi, sono considerati strumenti di crescita della motilità e dello sviluppo consapevole cognitivo-spaziale. Da recenti studi è emerso, che la fantasia può funzionare secondo entrambe le modalità, compensatrice e creativa. Di fatti, i bambini possono usare la fantasia sia per cambiare situazioni spiacevoli e appagare bisogni non soddisfatti, sia per sviluppare capacità puramente creative.La Axline, pone l’attenzione sulla necessità che il terapeuta debba viaggiare con fantasia di un bambino “senza porvi ordine per dargli un senso”. Inoltre l’autrice fa notare, che ciò che ha senso ed è terapeutico per un bambino, troppo spesso, è considerato insignificante per l’adulto. Erickson differenzia la fantasia cosciente da quella inconscia. La fantasia cosciente è un modo per appagare un desiderio, ad esempio compiere imprese pur non essendo portati. Le fantasie inconsce, sono comunicazioni della mente inconscia di significative potenzialità che la nostra parte conscia mette in atto appena trova l’occasione giusta. Oaklander sostiene, che nel lavoro con i bambini la fantasia ha un ruolo importante, sia come fonte di divertimento, sia come specchio dei processi vitali interiori del bambino. Attraverso la fantasia si possono esprimere velate paure, descrivere silenziosi desideri e agire problemi.
Conoscere il mondo dei piccoli«Passeggiavo lungo le vie del centro.Davanti a me, seduto su un muretto, un uomo dalla lunga barba bianca scolpiva su una pietra.Le sue mani crearono un uccello dalle enormi ali. Io, affascinata da quanto i miei occhi avevano visto, mi domandavo se sarei mai stata capace di esaltare qualità impercettibili, con la stessa naturalezza e semplicità.»
Si dice che Milton Erickson, maestro della psicoterapia basata sulle metafore, quando gli fu chiesto quali fossero le variabili più importanti per la psicoterapia rispose: “osservare, osservare, osservare”. Prima di utilizzare le metafore nel processo psicoterapeutico è importante osservare il comportamento dei bambini o degli adolescenti. Guardare cos’è che tiene desta la loro attenzione, riconoscere le minime risposte comportamentali e osservare il loro modo di interagire. Fortunatamente i bambini tendono ad essere più espressivi e meno vincolati alle convenzioni sociali rispetto agli adulti. Pertanto, durante la psicoterapia possono essere attenti, irrequieti o distratti, possono interrompere per fare domande, mostrare in modo chiaro ed esplicito i loro interessi o celarli dietro uno guardo riservato e timido. Inoltre, i bambini, così come gli adulti, non comunicano solo con il verbale; in loro possiamo cogliere chiari messaggi anche attraverso il non verbale e questi sono segnali minimi: indicatori di esperienze familiari del bambino.I segnali minimi, sono la base affinché si possano creare delle metafore familiari al piccolo paziente e facilmente accettabili. Cerchiamo, ora, di capirne di più sui segnali minimi per disporre delle indicazioni che ci agevolano il percorso al mondo dei bambini.Noi tutti abbiamo l’esperienza per riconoscerli e rispondervi. In particolare, i genitori ci forniscono un ottimo esempio. Nel giro di pochi giorni dalla nascita del loro piccolo, imparano un complesso ricercato assortimento di segnali minimi. Di fatto, prima della nascita il bambino impara a comunicare inizialmente con la madre, che ne percepisce i movimenti, la crescita e il temperamento. Non appena il bambino viene al mondo entrambi i genitori cominciano ad acquisire un linguaggio nuovo. La madre impara a capire quando è il momento di nutrire il suo piccolo, quando è sazio, quando vuole dormire ecc. I genitori imparano a rispondere ai piccoli movimenti del viso che segnalano l’inizio di qualche disturbo. Quindi, anche se in questo periodo il bambino non possiede alcuna capacità di linguaggio, è evidente che tra il piccolo e i genitori è presente una forma di comunicazione per poter esprimere bisogni e sensazioni. Di fatto, in ogni stadio dello sviluppo, sin dalla nascita emerge spontaneamente fra genitori e bambino un nuovo e complesso accomodamento dei segnali minimi. La capacità di rispondere ai segnali minimi è uno degli strumenti terapeutici di maggiore efficacia di cui uno psicoterapeuta possa disporre. Ed è solo mediante l’identificazione e l’abilità a dare una risposta, che si apre una finestra sull’esperienza personale del bambino. Ad esempio il fatto di adeguarsi al tipo di linguaggio e di servirsene può aiutare il terapeuta a crearsi una propria esperienza interiore delle sensazioni che può avere il bambino e nel contempo, il piccolo sente il terapeuta più similare al suo modo di essere e si predispone a condividere il proprio mondo. Il terapeuta deve sentire nella stanza il piccolo paziente e vedere, ascoltare ed esperire per trovare dentro sé l’emozione, che il bimbo racconta.Il riconoscimento dell’importanza dei segnali minimi si ebbe negli anni ’60 con l’emergere delle terapie del corpo. Il linguaggio non verbale del corpo divenne allora un nuovo e valido punto su cui gli psicoterapeuti dovevano concentrare la loro attenzione. Approcci specifici per riconoscere e utilizzare i segnali minimi si trovano nell’opera di Erickson. Erickson andava silenziosamente sviluppando il proprio metodo innovatore di osservazione e utilizzazione di quelli che chiamò minimal cues (segnali minimi) assai prima che si formasse il movimento della terapia del corpo. In questo caso, egli attinse dalle esperienze della propria infanzia e adolescenza, elaborando tutto quanto da bambino gli era naturale. La curiosità infantile e l’osservazione minuziosa (tipica di tutti i bimbi), fu per Erickson il principio base delle sue terapie. Così come, l’utilizzo dei propri ricordi e delle proprie associazioni sono altri strumenti importanti per percepire e comprendere i segnali minimi, affinché si possa conoscere il mondo dei piccoli e indurre significativi movimenti emotivo.
L’approccio di “utilizzazione” alla sintomatologia risale ad Erickson, il quale ha sostenuto, che accettare i sintomi presentati dal paziente inserendoli nella strategia del trattamento è funzionale all’efficacia delle metafore. Un’efficace metafora terapeutica deve essere costruita su tutte le informazioni e su tutti i comportamenti presentati in modo conscio o inconscio dal bambino. Pertanto, anche i sintomi rientrano in quelle informazioni utili alla creazione delle metafore terapeutiche. Ad oggi le posizioni prevalenti sull’origine e il trattamento dei sintomi si possono classificare in quattro punti.Una prima teoria ritiene che i sintomi siano manifestazioni di esperienze traumatiche del passato, che risalgono, generalmente, alla prima infanzia o alla fanciullezza e, che possono essere risolti con un ritorno alla causa che li ha originati. Questo percorso a ritroso può avere carattere cognitivo e analitico, oppure può verificarsi perché stimolato da una intensa emozione. In entrambi i casi, la relazione con la causa di origine è considerata la l’agente su cui si basa la guarigione.La seconda posizione vede nei sintomi il risultato di esperienze che condizionano di un apprendimento carente. Il trattamento è incentrato sul presente e mira a strutturare le esperienze cognitive del riapprendi mento. In questo approccio il concetto di causa originatrice è irrilevante.La terza posizione ha una concezione psiconeurofisiologica dei sintomi, considerando sia le componenti organiche, sia quelle comportamentali. Secondo questo approccio, per stabilire l’eziologia dei sintomi si prendono in esame i fattori genetici e biochimici, unitamente alle influenze ambientali.La quarta posizione considera il sintomo come un messaggio del’inconscio, utilizzabile per la sua stessa risoluzione, senza tener conto delle cause del passato. Erickson è stato il massimo esponente di quest’ultima teorizzazione e ha insistito sull’importanza dell’alleviamento del sintomo, prima di procedere all’indagine di qualsiasi altro fattore psicodinamico. La specificità della tecnica di Erickson nell’utilizzare il sintomo per provocare l’eliminazione, ci da un tipo di modello dove il sintomo stesso può essere trasformato nella soluzione.    Secondo questo approccio il terapeuta deve dare poco spazio alla rigorosa aderenza delle procedure terapeutiche convenzionali.   Erickson stesso era noto per la disponibilità e l’elasticità con cui offriva la sua terapia.   Certo, occorre fissare dei limiti; non ci si può attendere dai terapeuti che siano pronti a qualsiasi cosa, così come faceva Erickson. L’importante è, che l’elasticità di far terapia può rivelare dimensioni del trattamento, in altro modo impossibili da emergere.Utilizzare il sintomo che si presenta significa, che ogni approccio è pertinente in relazione agli elementi di ogni determinata situazione clinica. Per taluni pazienti potrebbe essere valido un intervento nettamente cognitivo, per altri un’esperienza catartica sarebbe più utile e per altri ancora, potrebbe essere più adeguata una tecnica diretta di modificazione del comportamento. Pertanto, si può affermare che: sono i bisogni e la sintomatologia del paziente a stabilire il tipo di intervento specifico.All’internodi questa cornice dobbiamo inserire l’approccio alla terapia infantile, peraltro molto vicino alla visione sistemica. I sintomi sono considerati come il risultato di risorse bloccate, ossia come il blocco delle capacità e potenzialità del bambino e non come manifestazione di patologia psichica o sociale.I blocchi hanno origine dalla corretta o falsa percezione che il bambino ha dei vissuti esperenziali. Problemi relativi alla famiglia, alle amicizie e scolastici possono determinare un sovraccarico di pressioni che bloccano le naturali capacità funzionali e potenzialità di apprendimento del bambino. A causa di questo sovraccarico si ostacola il modo di sentire del bambino e di conseguenza quello di agire è diverso da quello del suo vero sé. Quando il piccolo non riesce ad essere se stesso, le risorse interne della sua personalità non sono prontamente disponibili. I sintomi, che in questo caso consideriamo comunicazione simbolica o metaforica dell’inconscio, non solo segnalano una sofferenza nell’ambito del sistema, ma ne forniscono un’attenta descrizione. Pertanto, il sintomo è il mezzo di comunicazione del messaggio. Heller sostiene che tutti i disturbi e sintomi sono delle metafore che contengono la storia di ciò che è il problema. Il terapeuta ha l’onere di realizzare metafore, che racchiudono una storia, all’interno della quale è possibile trovare eventuali soluzioni. «La metafora è il messaggio».
Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988. Cit. p 42Cfr. Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988.Cfr. Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988.Stern N. D., “La costellazione materna” , Bollati Borigheri, Torino, 2003Terapia primaria, bioenergetica, terapia reichiana.Mills J.,C., Croweley R.,J., “Metafore terapeutiche per i bambini”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988. Cit. p 62

Metafore Terapeutiche per Bambini, in Terapia Familiare

Indicazioni per una metafora efficace
La metafora terapeutica, vista come esperienza narrativa, ha molto in comune con l’universo delle fiabe che ci raccontavano i nostri genitori. Fiabe, che ci hanno permesso attraverso il viaggio della mente, di affacciarci alla vita, conoscere il mondo e le dinamiche sociali. Ancora oggi, pur vivendo nel villaggio globale, la fiaba non ha perso la sua funzione, essa è un ottimo esempio di usare la metafora tanto come mezzo letterario, quanto come strumento terapeutico. Le storie sono raccontate con un linguaggio pittoresco, dove fantasia e realtà si fondono per contenere un significativo messaggio psicologico, ma non tutte le metafore sono terapeutiche. Pertanto, è fondamentale capire quali elementi separano la metafora terapeutica da quella letteraria.
L’unico elemento comune sia alla metafora letteraria, sia a quella terapeutica è la corrispondenza con colui che comunica. Quando la corrispondenza avviene nel lettore a vari livelli, allora le metafore letterarie si differenziano da quelle terapeutiche. Nella metafora letteraria la corrispondenza fra la stessa e il suo referente deve essere tanto stretta da evocare familiarità. E se la descrizione è la funzione principale della metafora letteraria, l’alterazione, la reinterpretazione e la ricomposizione sono le mete fondamentali della metafora terapeutica. Tali scopi possono essere conseguiti se la metafora terapeutica evoca sia la familiarità immaginistica della metafora letteraria, sia familiarità relazionale, basata su un senso di esperienza personale. La storia, che si racconta, deve conquistare coloro che ascoltano. In particolare, i bambini si mettono più facilmente in rapporto con ciò che è familiare. Pertanto i personaggi, gli ambienti e gli eventi devono parlare alla comune esperienza di vita di quanti ascoltano, e devono farlo utilizzando un linguaggio familiare. La funzione più importante della metafora terapeutica è quella che Rossi ha definito come “realtà fenomenologica condivisa” in cui è sperimentato dal bambino il mondo creato dalla metafora del terapeuta. In tal modo attraverso una relazione terapeuta – bambino – storia, il piccolo paziente sviluppa un senso di identificazione con i personaggi e gli eventi che vengono descritti. In questo senso di identificazione c’è il massimo potere della metafora. Il bambino non si sente isolato, al contrario percepisce un senso di esperienza condivisa. E, ancora una volta la metafora terapeutica sprigiona tutta la sua forza: punta al problema , ma se ne tiene alla larga; attiva capacità e risorse specifiche e lo fa in forma non minacciosa. Analizzando delle fiabe classiche, possiamo constatare elementi comuni, che ci permettono di creare la realtà fenomenologica condivisa mediante la quale la metafora terapeutica consegue il proprio scopo. Le fiabe classiche: – stabiliscono un tema generale di conflitto metaforico per quanto riguarda il protagonista; – personificano processi inconsci in forma di eroi o soccorritori (che rappresentano le capacità e le risorse del protagonista), e di malfattori o ostacoli (che rappresentano le paure e le convinzioni negative); – personificano situazioni di apprendimento parallelo nelle quali il protagonista ha avuto successo; – presentano una crisi metaforica in un contesto di ineluttabile soluzione, mediante la quale il protagonista supera e risolve il proprio problema;- danno al protagonista un nuovo senso di identificazione per effetto del suo vittorioso “viaggio dell’eroe”; – terminano nella celebrazione in cui avviene il riconoscimento del valore del protagonista.
La metafora della favola
La metafora terapeutica è uno strumento potente nel favorire nuove associazioni e nuove costruzioni di senso, utilizzando elementi di cognizioni e di esperienze, strutture cognitive o immagini, nozioni ed emozioni, fantasia e memoria. La sua capacità di contaminazione, di fusione e di ricostruzione di domini di senso, la sua capacità di rendere permeabili le barriere cognitive ed affettive al cambiamento, la fluidità e la elasticità nella ideazione e nei confronti, la leggerezza e la lievità ne fanno un potente strumento terapeutico. La favola in quanto gioco metaforico, contiene e svela, in contemporanea, tutto ciò che non può essere detto altrimenti, e pone un limite, un velo e un veto a ciò che non può essere totalmente svelato, in quanto esso fa parte, di una dimensione interiore, vissuta talvolta come una profondità. Talvolta, guardare all´intimità del piccolo paziente viene vissuto specularmente come un proprio abisso in movimento, come presenza vertiginosa di ciò che è inafferrabile nelle proprie radici. La favola, quindi, è intesa da come gioco fra personaggi e istanze che fanno parte di ogni persona Così, da potere considerare il mondo interno nello stesso tempo segreto e pubblico. La magia delle favole va riconosciuta nella grande capacità di ancorarsi a contenuti profondi, lavorare sulle emozioni senza che il piccolo “si faccia male”. A conferma di quanto detto, il pensiero di Freud, che in un saggio del 1907 parla di vera “ars” poetica, come particolare e segreta dimensione inconscia, con la quale il poeta o
l´artista supera ogni ripugnanza, ogni dolore, ogni barriera sia del suo mondo interno sia nella sua relazione col mondo esterno. Il gioco metaforico nonché l´arte nascono quindi come pellicola invisibile che permette di proteggere le parti recuperate senza il rischio di distruggerle, nel momento assai delicato del recupero a coscienza. Freud chiama “sensazioni e sentimenti” queste “percezioni” che attraverso il sentire del corpo provengono dall´interno e muovono affettività ed emozione. Il mondo delle favole, quindi, come luogo metaforico di incontro tra le percezioni sensoriali esterne e sentimenti, affetti e sensazioni interne. La metafora della favola è vissuta come luogo e strumento di comunicazione , di “co-divisione”, luogo di apertura, nel quale ognuno esiste e apprende dalla sua angolatura personale ed esperienziale. E’ dunque in quest’ottica interpretativa, la fiaba va intesa come specchio della vita, come metafora delle emozioni e dei sentimenti fondamentali di ogni uomo, mediata dal meraviglioso. Il bambino impara a gestire le sue emozioni attraverso le storie che ascolta. E le fiabe non narrano di dolci coniglietti o di incoscienti fanciulli dai boccoli biondi, ma affrontano situazioni ben più inquietanti: orfani, matrigne, mostri, lupi, giganti, re e regine malvagie. Il bene e il male si intrecciano, e si scontrano in una serie di avvenimenti in cui il magico e il meraviglioso rendono tutto possibile. La fiaba come metafora terapeutica, riprende le strutture narrative classiche per costruire nuovi conflitti e utilizzarli come metodo di analisi a distanza. Il piccolo paziente, distaccato dai suoi fatti personali, prende consapevolezza di alcune dinamiche comportamentali in maniera meno brutale. L’atmosfera delle fiabe è fatta di un mondo senza tempo e di uno spazio non identificabile, dove tutto può anche andare al contrario e soprattutto dove i personaggi non sono unici, ma tipici. Categorie fantastiche di cattivi, buoni e coraggiosi eroi. Ripercorriamo per esempio la fiaba dei piccoli, per eccellenza: Cappuccetto Rosso. Il lupo, il cattivo, mente spudoratamente ed esageratamente alla bambina fingendosi la vecchia nonna, rispondendo a quelle ingenue domande. Questa fiaba ci fa sorridere, perché la semplificazione è agli estremi, ma dobbiamo ammettere che la simbolizzazione è chiarissima. Come spiega Bettelheim [1], in queste fiabe il bene vince sul male e il bambino si identifica con l’eroe buono, che esercita una forte attrattiva su di lui. La domanda che si pone il bimbo non è “Voglio essere buono? “ ma “ Come chi voglio essere?”.
Esiste però una fiaba riportata da Grimm, in cui la giustizia non trionfa. Si tratta di Gatto e il topo in società.: qui il gatto ha più volte il sopravvento sul topo e alla fine il topo viene mangiato. Il male qualche volta vince: la catena di bugie che il gatto inventa a spese del suo socio, è esponenziale e non può che concludersi con la morte di quest’ultimo. Il gatto di questa fiaba dunque diventa un esempio perfetto per far conoscere ai bambini lettori anche l’aspetto indisciplinato della loro persona, in modo che imparino a “dimensionarlo”. Chi di noi non ha mai detto bugie? Chi di noi non si sente un po’ gatto? Questo è il messaggio che passa dalla fiaba. Ci sono fiabe definite di iniziazione, che hanno una trama che trae origine da una bugia. La più esemplare è la fiaba di Hansel e Gretel, che racconta di questi due sfortunati fratelli ai quali il padre, costretto dalla miseria, mente senza cuore. Egli promette di andarli a riprendere nel bosco, all’imbrunire, per ben due volte. I bambini però sanno che verranno abbandonati e trovano il modo di tornare da soli verso casa. Solo il terzo tentativo di abbandonare i bambini nel bosco avrà successo e sarà allora che Hansel e Gretel troveranno la casetta di pan di zucchero. Inizieranno cioè a cavarsela da soli, si avventureranno nella vita. Faranno tesoro delle avversità vissute in precedenza, infatti essi stessi mentiranno alla strega: Hansel porgerà un ossicino dalla gabbia, invece del dito grassottello e Gretel fingerà di non saper aprire il forno da sola, per poterci spingere dentro la strega. I bambini imparano a difendersi, diventano in qualche misura adulti. La storia poi ha un secondo finale, infatti anche la famiglia, come valore irrinunciabile, viene recuperata. I fratelli, una volta eliminata la strega, si appropriano del suo tesoro e trovano la strada di casa, dove c’è il padre, che,consumato dal rimorso per averli abbandonati, ritroverà a sua volta il gusto di vivere. Una fiaba ricca di dettagli che fanno parte dell’universo bambino e umano e nella quale le bugie hanno un ruolo fondamentale: aiutano a crescere. Nella semplice fiaba del principe ranocchio, la bugia aiuterà a crescere la co-protagonista: quella capricciosa principessa che, pur di riavere indietro la palla caduta nel lago, mente al piccolo ranocchio, promettendogli la sua amicizia. Più avanti, quando alla principessa viene chiesto di tener fede alla promessa fatta, il re, il padre giusto, si intromette e la pone di fronte a un muro insuperabile. Non è possibile venir meno a una promessa. La principessa quindi, suo malgrado accetta il ranocchio in casa. Comprende di aver commesso una scorrettezza e viene poi ricompensata attraverso la trasformazione del ranocchio in principe. Quella prima bugia di bambina viziata la porta ad essere moglie felice.
Nella divertentissima fiaba di Andersen, i vestiti nuovi dell’imperatore vediamo la celebrazione totale della falsità. Tutti i protagonisti, molto meschinamente, mentono a sé stessi e agli altri. Nessuno ha il coraggio di dire la verità: tutti seguono l’inganno dei sarti impostori che dicono di aver confezionato abiti con tessuti preziosi. La catena di falsità porta il vanitosissimo imperatore a sfilare nudo in portantina. La catena viene spezzata dall’innocenza di un bambino che osservando la parata esclama: -Ma non ha niente indosso! – la folla lo segue in un mare di risate, ma a quel punto il vanitoso governante ha già compreso le sue colpe e dimostra di aver imparato la lezione:
-Ora devo guidare questo corteo fino in fondo! – E si drizza ancor più fiero. E’ diventato adulto e degno del suo ruolo. Nel mondo del tutto-possibile sono tante le riflessioni che possiamo costruire, ma uno solo il pensiero finale: la fiaba, nella sua semplicità, ha un potere profondo, stimola, fa sorridere al tempo stesso, smuove emozioni senza mai toccarle direttamente, permette di sviluppare abilità di problem solving, porta al cambiamento e lo fa mantenendo la giusta “distanza di sicurezza”.
Metafore Artistiche: disegni, dipinti, sculture, giocare e costruire
Quando parliamo di metafore oltre alla loro utilizzazione in forma narrativa per integrare i sistemi sensoriali e provocare dei cambiamenti a livello inconscio, si deve riconoscere un’altra applicazione terapeutica: la metafora artistica. La metafora artistica, peraltro molto adeguata nella terapia con bambini, utilizza strategie di disegno, di gioco , di lettura, di drammatizzazione e creazione in genere, affinché al piccolo paziente si possa trasmettere un’altra dimensione dell’esperienza terapeutica. Tanto il racconto metaforico, quanto la metafora artistica hanno il loro punto cardine nell’integrazione degli emisferi cerebrali destro e sinistro, a livello cosciente e inconscio, tramite gli approcci plurisensoriali. La metafora artistica è pluridimensionale e tridimensionale, in quanto comporta l’uso di oggetti nello spazio. Ciò rende più semplice l’espansione del termine metaforico, in termini tangibili e fisici. In questo modo la mente inconscia del piccolo paziente può esprimere e risolvere il problema del piccolo e lo fa tramite una rappresentazione cosciente. Il bambino attinge ad una banca interiore di creatività dove recupera immagini e sentimenti inconsci che traduce con colori e forme, e li condivide con il terapeuta. L’uso del disegno come strumento di terapia, tanto negli adulti quanto nei bambini, sta diventando molto più comune. La rappresentazione grafica fornisce informazioni preziose sulla funzionalità sensoriale del bambino. Talvolta il modo di disegnare può perfino scaturire un quadro esplicito del sistema sensoriale fuori coscienza. Pertanto, è molto importante suscitare esperienze preferite e osservare i segnali minimi allo scopo di ottenere informazioni per la creazione della metafora terapeutica. Il disegno delle risorse interiori oltre ad essere veicolo di guarigione è un’altra importante fonte di informazione. Infatti, è considerato mezzo di raffigurazione della dinamica personale e familiare per ottenere insight, analisi e maggiore comprensione. L’uso che si fa del disegno delle risorse interiori, mira non solo a illuminare la storia della dinamica familiare e interpersonale del passato, ma media gli elementi terapeutici in atto determinanti e il bambino in trattamento. Il disegno è un intervento terapeutico a più finalità: aiuta il terapeuta ad individuare il sistema sensoriale fuori coscienza del bambino; può provocare esperienza di catarsi e sfogo emotivo; può operare per le famiglie come sistema di retroazione, contribuendo a chiarire il punto i vista di ciascun membro sulle soluzioni; per il bambino è un sistema di retroazione immediata che concretizza quelle che possono essere le soluzioni e le risorse. Al terapeuta il disegno fornisce una serie di risorse e strutture di fondo che possono essere inserite nelle metafore narrative. Inoltre il disegno è per il terapeuta un sistema di comunicazione molto familiare al bambino, il quale non sentendosi giudicato comunica liberamente e con la semplicità tipica dei piccoli pazienti. Un altro strumento metaforico escogitato per aiutare i bambini ad affrontare i dolori fisici è “il libro del dolore che va meglio”. Questo strumento ha lo scopo di fornire un mezzo artistico mediante il quale si possano, tanto oggettivare le sensazioni dolorose, quanto accedere a risorse interiori inutilizzate. Gli aspetti visivi e cenestesici del disegno vengono messi a fuoco in una forma che promuove un maggiore benessere tramite la dissociazione che avviene naturalmente per effetto del processo figurativo del disegno. Ricerche, fatte da Bander, Erickson e Rossi, sulla comunicazione mente e corpo, hanno rivelato che la dissociazione è il centro di controllo del dolore e può anche alterare l’effettiva fisiologia del dolore stesso, per i suoi effetti positivi sul sistema endorfinico del bambino. Va sottolineato che “il libro del dolore” è destinato a essere impiegato come approccio terapeutico aggiuntivo alla diagnosi e al trattamento medico.
Oltre alle strategie dei disegni delle risorse interne, che abbiamo trattato finora, altra applicazione delle rappresentazioni grafiche è il disegno della famiglia, in cui più di un membro della famiglia partecipa alla seduta. Il disegno della famiglia permette al terapeuta di raccogliere molte informazioni sotto forma di strutture di fondo risorse interiori. Il disegno con la famiglia può anche servire a creare un equilibrio interna della famiglia, in cui ciascuno è consciamente legato condividendo il momento in cui si crea il disegno. Un altro mezzo per la creazione originale di metafore plurisensoriali terapeutiche è il gioco delle risorse. Questo gioco è creato singolarmente da ciascun bambino, e viene ricreato ogni volta che lo si gioca. Le informazioni che il bambino dà sul proprio mondo sono da lui stesso trasformate in simboli (metafore), che a sua insaputa rappresentano il suo problema, i suoi blocchi coscienti e inconsci, e le sue risorse interiori. Il primo punto per costruire il gioco delle risorse consiste nel fornire il bambino di un grande foglio di carta da disegno, matite e pennarelli. Poi gli si chiede di disegnare in un angolo del foglio qualcosa, che vorrebbe avere nella vita, qualcosa di molto importante. Gli si fanno chiudere gli occhi e gli si dice di immaginare una mappa che possa guidare al raggiungimento dell’obiettivo. Quando il bambino ha ben chiara, nella sua mente, la mappa gli si chiede di disegnarla. Mentre disegna la mappa gli si chiede di inserire tre ostacoli che impediscono il raggiungimento degli obiettivi. Poi, si dice al piccolo di creare una risorsa specifica da contrapporre a ciascun ostacolo. Le risorse verranno disegnate su cartoncini, così da nominarle carte delle risorse. Si continua facendo disegnare al bambino un certo numero di caselle a piacere compreso la partenza e l’arrivo e creando delle pedine con cose che più preferisce. Infine, il terapeuta e il bambino disegnano sul foglio di carta un cerchio del diametro da dividere in parti uguali, come fette di una torta. In ogni fetta il bambino disegna una delle figure già poste, in dimensioni minori, sulle carte delle risorse, e le contrassegna con un numero dall’uno al sei. I numeri corrispondono a quelli del dado con cui si gioca. I giocatori sono il terapeuta e il bambino, che iniziano a giocare mettendo le loro pedine simboliche sul personaggio/oggetto preferito. In seguito, il bambino lancia il dado e sposta la pedina in base al valore del numero uscito. Qualora si ritrova su un ostacolo ripete il lancio finche il numero non coincide con quello da cui è contrassegnata la figura della risorsa riportata sulla carta grande. A questo punto gli viene consegnata la carta delle risorse piccola corrispondente, che diventa un pass per proseguire nel movimento della pedina. Si prosegue così finché il piccolo non raggiunge l’obiettivo. E importante sottolineare che la partita finisce solo quando il bambino raggiunge l’obiettivo.
[1] Bettelheim B. “Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe”, Feltrinelli, Milano,1986

La metafora

La Metafora è uno specchio,che riflette l’immagine di sé, della vita, degli altri. Tali immagini possono diventare una chiave per il cambiamento.
Che cos’è la metafora? Come può essere definita la metafora? Un linguaggio figurato, una figura retorica, un modo simbolico di esprimere qualcosa o un’espressione fantasiosa e creativa dove le leggi del mondo reale si combinano con l’irreale per esplorare una parte più profonda dell’individuo? La letteratura è ricca di definizioni a proposito, ma in questa sede, prima di addentrarci nello specifico dell’argomento e ampliarlo secondo un approccio psicoterapeutico familiare, cerchiamo di capirne di più movendo i primi passi dal semplice concetto di metafora; nozione che, peraltro, troverà d’accordo molti studiosi. Metafora (dal greco μεταφορά, da metaphérō, «io trasporto») è un tropo linguistico e si ha quando, al termine che normalmente occuperebbe il posto nella frase, se ne sostituisce un altro la cui “essenza” o funzione va a sovrapporsi a quella del termine originario creando, così, immagini di forte carica espressiva. La metafora differisce dalla similitudine per l´assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (“come“). E non è totalmente arbitraria: in genere si basa sullo stabilimento di un rapporto di somiglianza tra il termine di partenza e il termine metaforico, ma il potere comunicativo della metafora è tanto maggiore quanto più i termini di cui è composta sono lontani nel campo semantico. In semantica la metafora è più propriamente il processo per cui una parola si arricchisce di nuovi significati, per estensione. Ad esempio, la parola vite indica l´utensile vite per analogia con la pianta della vite (per somiglianza tra la filettatura dell´utensile e il viticcio della pianta). Spesso tali meccanismi sono fossilizzati nel lessico e non sono avvertiti dal parlante, ma si possono ricostruire con lo studio dell´etimologia. L’uso della metafora è essenziale al linguaggio umano, in quanto consente di trasmettere pensieri e concetti altrimenti difficili da comunicare. La metafora è nata, come elemento di studio, di approfondimento e d’uso della retorica, l’arte antica del bel parlare e della capacità di persuadere. Il suo uso, inizialmente poetico e persuasivo, si è esteso nel tempo, a tutte le discipline. Di metafora, si sono interessati retori e filosofi del passato, quali Isocrate, Cicerone, Sant’Agostino, Aristotele. E proprio quest’ultimo ha sostenuto che: « La metafora consiste nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro: e questo trasferimento avviene, o dal genere alla specie, o da specie a specie, o per analogia.» A riprendere e ampliare la definizione di metafora, di Aristotele, fu Turbayne, il quale fece notare che la metafora non deve necessariamente essere espressa in parole, ma può essere comunicata anche con dei segni. Pertanto, il quadro di un pittore o il gioco di un bambino può essere considerato espressione metaforica. Turbayne, arricchì ancor più, la descrizione di metafora fatta da Aristotele, e asserì che la parabola, la favola, l’allegoria, e il mito possono essere considerati sottogruppi della metafora. E seppure Turbayne, è stato tanto innovativo nella descrizione della metafora, omette di considerare che una persona può consciamente recepire una metafora secondo il senso letterale, mentre a livello inconscio ne può recepire il significato simbolico. Questa è l’ipotesi di base, su cui si fonda l’impiego clinico della comunicazione metaforica. Nella storia della scienza sono rinvenibili molte metafore tant’è, che ogni «[…] mutamento di teoria è accompagnato da alcune importanti metafore…». Esse possono assumere valore esegetico, come metafore sostitutive, od anche rappresentare «[…]un ponte che viene offerto all’intuizione » Anche le teorie psicologiche offrono molte metafore: il cognitivismo con il modello del computer, la psicoanalisi con un uso anche clinico di questo strumento, e le teorie sistemiche con le descrizioni “triangolari” delle dinamiche familiari, solo per fare alcuni esempi. Se dunque, le metafore sono ampiamente utilizzate nel ragionamento scientifico, si assiste negli ultimi anni alla diffusione della prospettiva narrativa nella quale si osserva da parte di molti studiosi non solo l’adozione di un modello scientifico narrativo, ma anche lo sviluppo di molte ricerche sulle modalità narrative di ragionamento che comportano anche il ricorso alle metafore. Nella letteratura sistemica al termine metafora è stato assegnato un significato ampio, che coglie la continuità e la compresenza tra diversi livelli mentali. A proposito, sono molto significative le ipotesi antropologiche di Brenda Beck. La Beck considera la metafora come un mediatore, capace di mettere in comunicazione gli aspetti sensibili e immaginativi con quelli logici e razionali. Gregory Bateson, padre della teoria sistemica, ha più volte sottolineato il ruolo svolto dalla metafora nella conoscenza. La metafora è espressione artistica delle emozioni e costituisce il senso relazionale e emozionale condivisa dal gruppo. Anche Minuchin e Whitaker si sono interessati di utilizzare le metafore nelle loro psicoterapie e mentre Minichin parla di uso di metafore spaziali e organizzative (sia nella descrizione dei problemi, sia nell’individuazione dei percorsi risolutivi); Whitaker da importanza all’uso della metafora in quanto massima espressione del sé terapeutico. Gordon nel suo testo Metafore Terapeutiche, esamina la costruzione della metafora, come modalità per comunicare e generare cambiamenti. La metafora, è uno strumento elettivo di evoluzione e creatività, è capace di apportare continuo dinamismo alle strutture di pensiero. E’ esemplificazione emotiva di un contenuto verbale. E’ la comprensione del modello del mondo dell’altro e si può creare in modo naturale e inconscio dalla narrazione. Offre l’occasione di “entrare” nelle emozioni e talvolta di condividerle. Rende più fluente la comunicazione e favorisce l’apprendimento. Coinvolge, incanta, concede l’opportunità di un viaggio ai confini tra realtà e fantasia.
L’ uso della metafora nella storia
La metafora è, da sempre, un elemento essenziale nella comunicazione umana. Racconti e aneddoti sono stati continuamente adottati per trasmettere messaggi specifici. Molteplici, sono le metafore che ci accompagnano negli anni. Fra queste, ricordiamo in poche righe le più resistenti nel tempo: i racconti tramandati con la Bibbia. La Bibbia, utilizza un linguaggio spiccatamente metaforico e persuasivo atto a trasmettere messaggi su concetti da sempre indispensabili nella vita dell’uomo, come il bene e del male. A tal proposito citiamo Il Libro di Giobbe , che intende rispondere alla domanda di come Dio premi o castighi le azioni degli uomini. Il libro compare sia nelle scritture cristiane sia in quelle ebraiche e probabilmente risale a circa duecentomila anni fa. Gesù insegnava tramite le parabole, racconti sulla moralità e la giustizia, le parabole sono state tanto efficaci da rendere i personaggi come il Buon Samaritano e il Figliuol Prodigo, parte del nostro vocabolario quotidiano. Dicasi altresì dei grandi poemi epici, dell’Iliade e dell’Odissea, della Divina Commedia, solo per citarne alcuni.
La metafora in psicoanalisi
Secondo Freud il pensare per immagini sta più vicino ai processi inconsci di quanto lo sia il pensare per parole, quindi le immagini metaforiche, sono una forma di pensiero attraverso la quale i processi inconsci vengono espressi. Nel saggio del 1907 Freud parla di “ars poetica”, come particolare e segreta dimensione inconscia, con la quale il poeta o l’artista supera ogni ripugnanza, ogni dolore, ogni barriera sia del suo mondo interno sia della sua relazione esterna. Per Szajnberg, il transfert è un aspetto importante per la riuscita della psicoterapia analitica, e la metafora è cruciale per portare o trasportare simboli e ambiguità del cliente da un momento all’altro della sua vita, da una parte all’altra della sua mente. Secondo Jung, l’immagine indotta emotivamente è l’organizzatore principale della mente umana; mito e archetipo sono immagini metaforiche universali. Sia il concetto di Jung di archetipo inteso come metafora universale, sia i miti della cultura umana rivelano immagini metaforiche universali; ciò indica che mito e archetipo si riferiscono ad una precisa dimensione dell’esperienza umana: la struttura metaforica della realtà trans-culturale.Per Bettelheim è a causa della rimozione o del processo di censura che l’inconscio rivela sé stesso in simboli o metafore. Una somiglianza e una continuità tra la struttura individuale e quella universale dell’esistenza umana è compatibile con l’affermazione che la realtà individuale, sociale, trans-culturale è strutturata metaforicamente.Nella teoria delle Relazioni Oggettuali il sé può essere una immagine rappresentazionale interna, che di solito trae origine dall’area affettiva; la metafora e la struttura metaforica della realtà di una persona esprimono anche una somiglianza tra relazioni sé-oggetto interne (intrapersonali) ed esterne (interpersonali). Il discorso metaforico di un cliente può rilevare le dinamiche psicologiche del sé, per esempio “sto andando in pezzi” è una metafora intrapersonale. Rottemberg ritiene, che la metafora combini il processo primario e quello secondario del pensiero; l’interpretazione metaforica in psicoterapia è sempre generata dal terapeuta anche se si dice che “è desiderabile che il terapeuta funzioni creativamente per stimolare e facilitare il coinvolgimento del paziente nel lavoro creativo”. In psicoanalisi la metafora è considerata un fenomeno regressivo, un avvicinamento all’atto terapeutico che è l’interpretazione. Le interpretazioni metaforiche mirano a catturare l’esperienza e il pensiero del cliente nel linguaggio di quest’ultimo senza andare oltre a ciò che il cliente ha detto, hanno le maggiori probabilità di essere accettate da lui. Sia la mente che il corpo sono unificati all’interno della struttura metaforica della realtà individuale. Per Stern trovare la metafora terapeutica chiave è l’obiettivo della psicoterapia psicoanalitica per comprendere e cambiare la vita di un individuo.
Metafora e Ipnoterapia Eriksoniana
Erikson per primo esplorò l’uso di storie e aneddoti come metafore, la sua popolarità ha portato molti a considerare gli aneddoti l’unico modo per utilizzare le metafore in terapia. Di fronte ad un intervento paradossale il pensiero cosciente del cliente è sovraccaricato dalla logica illogica del paradosso; il cliente si trova in un processo di ricerca mentale inconscia. L’approccio eriksoniano utilizza la metafora per comunicare con i processi inconsci del cliente, per attivarli e per spostare ed elaborare le informazioni da una conoscenza verbale- logica ad una immaginifico- analogica. Per Erikson è il terapeuta che costruisce aneddoti, che contengono metafore simili alla situazione reale; inoltre l’aneddoto ha un obiettivo di trattamento specifico. Per ciò che riguarda le metafore, Erikson le adoperava anche nell’ipnosi per indurre un maggior successo. Convinto, che il comportamento del terapeuta deve adeguarsi alle singole persone che entrano in terapia, non ha mai cercato di adattare tutti i pazienti allo stesso modello terapeutico; con alcune persone ha usato termini piuttosto pesanti, con altre invece ha detto le cose in modo che il paziente si rendesse conto solo più tardi del loro significato; così in alcuni casi ha dimostrato che si può discutere apertamente di taluni argomenti, mentre in altri casi è preferibile affrontare il problema indirettamente e lasciare che sia il paziente a scoprire l’oggetto della discussione. Erikson era persuaso dall’idea che una persona poteva imparare molto quando riusciva a superare delle avversità perciò, quando aveva a che fare con qualcuno con scarsa stima di sé e che non riusciva a trovare stimoli per migliorarsi, spesso raccontava episodi della propria vita, sostenendo che le persone, cui il racconto metaforico era diretto, avrebbero potuto utilizzare il contenuto a modo proprio e coglierne i significati da applicare alla propria situazione. I racconti metaforici possono parlare dei problemi della persona in un linguaggio simbolico, togliendo l’ansia che ne deriverebbe affrontando il problema direttamente. Non esiste la metafora buona per tutte le stagioni, ma esiste la metafora adatta a quella particolare situazione, per quella particolare persona. La metafora può favorire un processo di analogia e di identificazione, nonché d’apprendimento e d’elaborazione, e può diventare la base di un cambiamento.
Metafora e Terapia Familiare Sistemica
È Minuchin a introdurre le metafore per identificare la realtà strutturata metaforicamente dalla famiglia. Secondo Minuchin la famiglia costruisce la sua realtà attuale ed è compito del terapeuta selezionare “dalla cultura stessa della famiglia” le metafore che simbolizzano la sua realtà specifica e usarle come un’etichetta che indica la realtà famigliare e suggerisce la direzione del cambiamento. L’ipotesi che la struttura metaforica della realtà intrapersonale e interpersonale può essere reciproca si basa sull’analogia che la famiglia è come un ologramma (olismo in questo caso significa: “il tutto è codificato in ognuna delle parti, e ognuna delle parti può generare il tutto”) che è simile al concetto di famiglia “il tutto è più della somma delle parti” è traducibile in “ la struttura metaforica della realtà famigliare è nella struttura metaforica della realtà individuale, e la realtà metaforica di ogni individuo è nella struttura metaforica della realtà famigliare” Minuchin, definisce “holon” l’individuo, il nucleo famigliare, la famiglia estesa e la comunità affermando che ogni holon è sia un tutto che una parte.Haley e Madanes sostengono che l’essenza dell’interscambio tra i membri di una famiglia sta proprio nelle caratteristiche metaforiche Vs quelle logiche della comunicazione. Haley pone in contrasto la comunicazione metaforica rispetto a quella logica; per lui la comunicazione metaforica è analogica. Madanes afferma che ogni comportamento può essere o analogico o metaforico: è analogico quando assomiglia ad un altro comportamento per certi aspetti; è metaforico quando simbolizza o è usato al posto di un altro comportamento.Per Bateson la metafora è il principio con cui l’intera struttura degli esseri viventi è messa insieme. La metafora è una struttura che connette, una struttura che caratterizza l’evoluzione di tutti gli esseri viventi. Per Watzlawick le metafore sono forme espressive che agiscono principalmente a livello analogico, aggirando le razionalizzazioni difensive dei pazienti ed attivando in funzione terapeutica la sfera intuitiva ed emotiva della personalità. Infine, anche Boscolo si è interessato della metafora, sostenendo che il linguaggio proprio della metafora, i simboli, le immagini mentali tendono a stabilire un clima emotivo fluido ed intenso che facilita il cambiamento terapeutico.
I vantaggi della Metafora nel lavoro del terapeuta
Gli interventi terapeutici che fanno leva sulle metafore generate dal cliente aiutano sia il terapeuta che il cliente ad allargare e approfondire la loro comprensione del sistema di pensiero di quest’ultimo, sistema che rispecchia nel suo uso delle metafore, e in particolare nelle metafore dei suoi ricordi d’infanzia. Esistono due percorsi per raggiungere questi risultati: innanzi tutto non viene utilizzata nessuna interpretazione né quadri di riferimento (frames o reference) esterni (modelli teorici o quadri mentali del terapeuta) durante il processo di esplorazione/trasformazione. Il terapeuta facilita nel cliente la ricerca interiore delle proprie immagini metaforiche, evitando di introdurre qualsiasi altro contenuto aggiuntivo. Se il terapeuta propone una sua idea lo fa solo per aiutare il cliente a prendere in considerazione ulteriori possibili significati o immagini di una metafora da lui già presentata. Se il cliente rifiuta il suggerimento, questo viene lasciato cadere dal terapeuta. Sono quindi i clienti che hanno il potere di elaborare e di modificare le loro immagini metaforiche: i terapeuti rispettano l’esperienza e le scelte soggettive dei clienti, accettando ciò che si rivela durante il processo di esplorazione e trasformazione. In secondo luogo il linguaggio metaforico è influenzato dalla “cultura” individuale di ciascuno e in qualche modo la riflette. Le metafore generate dal cliente portano in luce la personale esperienza e il personale sistema di significati di ciascun cliente individualmente inteso, dato che la metafora tipicamente incorpora influenze culturali soggettive piuttosto che generalizzazioni e stereotipi culturali diffusi. Allo stesso modo le metafore dei primi ricordi infantili sono immagini dell’infanzia dell’individuo che rispecchiano i quadri mentali di una persona nella sua unicità, i quali a loro volta risentono dell’influenza della cultura e dell’appartenenza etnica, a loro volta mediate dalla famiglia e dal sistema sociale in cui la persona è cresciuta. In conclusione, le metafore generate dal cliente sono “prossimali” all’ interazione tra cliente e terapeuta, e dovrebbero quindi poter essere correlate a un risultato terapeutico positivo . Inoltre, dato che il processo di esplorazione e di trasformazione delle metafore generate dal cliente si verifica all’interno della sua visione del mondo, gli interventi metaforici generati dal cliente sembrano adattarsi particolarmente bene alla psicoterapia con popolazioni culturalmente differenti. La psicoterapia con le metafore offre un modo per esprimere empatia, ascoltare e accedere a processi inconsci, facilitare una maggiore comprensione e un migliore contatto nella relazione terapeutica e affina la capacità del terapeuta di vedere con gli occhi dell’altro, ascoltare con le sue orecchie e sentire con il suo cuore.Tale metodo aiuta il terapeuta ad evitare gli atteggiamenti di onnipotenza, fare attenzione sia al procedimento che al contenuto, mostrare rispetto e acquisire una comprensione dell’unicità di ogni cliente, aggirare la sua resistenza, dargli la capacità di iniziare un movimento e un cambiamento, aumentare la consapevolezza del terapeuta rispetto alle sue aspettative e ai suoi vissuti (controtransfert), nonché sviluppare abilità di psicoterapia breve.
Come costruire una metafora
Ogni ambito sia terapeutico, formativo o informativo, produce tipi di metafore simili ma anche diverse. Diversi gli obiettivi, i destinatari, le metodologie, i gestori stessi della metafora. Simili gli intenti: stabilire corrispondenze e produrre cambiamenti. Questa similarità consente di individuare una procedura di base comune per la costruzione di metafore.A questo proposito la neurolinguistica ha elaborato dei modelli già individuati da Milton Erickson per la creazione di metafore efficaci. Innanzitutto la raccolta di informazioni • sul destinatario della metafora: individuare il modello del mondo, gli schemi cognitivi, la sua mappa percettiva, affettiva, cognitiva e comportamentale, le sue esigenze, il suo potenziale di flessibilità e le sue eventuali resistenze • sul problema-caso : quante e quali sono le persone significativamente coinvolte, quali le relazioni intrattenute, quali gli elementi di sostegno, quali gli ostacoli, quali gli eventi che hanno determinato (o determineranno) il problema-caso, quale il decorso (o il probabile decorso)Le informazioni raccolte dal costruttore di metafore possono essere specifiche o generiche (ad esempio nel caso terapeutico, il rapporto diretto col paziente permette al terapeuta una conoscenza sicuramente approfondita).In ogni caso sono le informazioni, che ci permettono di stabilire un’analogia e questo equivale a creare una relazione, un allineamento tra destinatario e metafora. Questa relazione destinatario-metafora (raccontata, disegnata, resa tangibile) induce ad una legame empatico, crea un feeling tra soggetto e oggetto, ricrea quello che in neurolinguistica è conosciuto come rapport. Il costruttore di metafora deve essere capace di costruirlo con un buon lavoro di calibrazione (studio del destinatario) e di ricalco (rispecchiamento) tra personaggi metaforici e destinatario. La calibrazione riporta alla preliminare raccolta di informazioni, allo studio dell’interlocutore, dei suoi atteggiamenti, dei suoi modelli di conoscenza e di rappresentazione.In una comunicazione interpersonale queste informazioni vengono date dall’osservazione delle immagini che l’interlocutore usa, delle sue manifestazioni fisiche ed emotive, e dall’ascolto del suo vocabolario.Queste parole, frasi, immagini che le persone usano per comunicare, e il modo in cui le usano, offrono informazioni importanti sul loro mondo interiore. Il ricalco è un processo di rispecchiamento con cui una persona, attraverso il proprio comportamento, riproduce il comportamento dell’interlocutore, dimostrando così attenzione al suo punto di vista e al suo modello del mondo. Riporta alla fase di costruzione effettiva della metafora, al suo intento analogico.Le informazioni acquisite con la calibrazione servono per comprendere il modo in cui l’interlocutore interpreta la realtà. Sulla base di queste informazioni è possibile uniformare il proprio agire (o strutturare la propria metafora) secondo ciò che in un dato momento è considerato il comportamento più appropriato alla relazione in corso.Nella narrazione metaforica è indispensabile calibrare e ricalcare per stabilire analogie. Ed è importante farlo soprattutto in ambito psicoterapeutico, al tal proposito lo fa il terapeuta col paziente (sa chi ha davanti, lo vede, lo conosce, ne conosce problemi e attese); Una volta raccolte le informazioni necessarie queste devono essere trasformate in metafora.I passaggi indispensabili per questa trasformazione sono: • creare una storia analogica: ricalcare il destinatario e il suo problema-caso; • espandere l’analogia con un isomorfismo: stabilire eventi, comportamenti e relazioni tra i protagonisti della metafora simili a quelli vissuti dal destinatario stesso; • introdurre nel contesto della storia esperienze (anche marginali e non necessariamente vissute dal protagonista, ma anche da personaggi collaterali) tali da stimolare nel destinatario riflessioni che lo portino ad aperture cognitive emotive e comportamentali; • proporre una serie di convinzioni evolutive, alternative a quelle del destinatario, che lo incoraggino nel cambiamento, che gli permettano di superare limiti e convinzioni, che lo inducano a sperimentare soluzioni e nuove esperienze; • Utilizzare elementi che possano evitare le resistenze consce (ambiguità, citazioni, e alcune volte anche humour); • Ipotizzare, proporre, suggerire soluzioni; La metafora, attraverso l’analogia, guida il soggetto a prefigurarsi, a percepire, a vivere situazioni nuove e risolutive. La guida è l’infrazione del ricalco, ossia il processo con cui una persona smette di riprodurre le scelte comunicative dell’interlocutore, e comincia a condurlo verso la conoscenza della propria mappa mentale, e quindi verso l’adesione ai propri obiettivi. Gli obiettivi che egli si pone di raggiungere e il modo per raggiungerli, le soluzioni proposte, devono essere gestite con assoluta precisione, perché devono tracciare una direzione senza imporla, indicare e guidare senza forzare.Cinque punti significativi per la costruzione di metafore sono:1. visione d’insieme: si parte da un ampio panorama (ricalco situazionale/sociale nell’ideazione dell’analogia)2. problema/bisogno: la visuale si stringe sul problema specifico del lettore (ricalco specifico: sensoriale, di credenze nell’espansione dell’analogia mediante isomorfismo)3. idea/soluzione: una proposta che risolverà quel problema (inizio guida nell’avvicendarsi delle sequenze della metafora)4. evidenze: giudizi che testimoniano l’efficacia di una certa scelta (citazioni corroboranti)5. vantaggi: i benefici specifici per il lettore (ricalco sul futuro nello scioglimento della vicenda narrata)Soprattutto il quinto punto risulta efficace per l’identificazione degli obiettivi nella metafora. Nello specifico della narrazione metaforica entra in gioco la capacità diagnostica e previsionale del costruttore di metafore che aiuta il destinatario a progettare situazioni risolutive e vantaggiose, realistiche, concretizzabili e non illusorie. Le metafore sono “favole” che si traducono in realtà. Gli obiettivi vanno definiti in positivo, conseguenza di comportamenti appropriati, di scelte oculate, risoluzioni prese dai protagonisti della metafora durante lo svolgimento di una vicenda che li ha messi alla prova. La metafora forma e in-forma: da’ “forma a” schemi mentali idonei all’apprendimento di saperi e strategie nuove e “forma in” ambiti più o meno lontani da quelli consueti (ambiti, contesti, situazioni nei quali difficilmente ci si inoltrerebbe se non attratti e “distratti” dal linguaggio metaforico). Il destinatario guarda queste esperienze analogiche fornitegli dalla metafora ed è portato (a livello inconscio) a ri-guardare le proprie esperienze e ad operare nuovi collegamenti, in una continua ristrutturazione e ridefinizione di convinzioni personali che talvolta possono limitare l’evoluzione personale, sociale o professionale. La metafora, dunque, presentando modi diversi di pensare e di agire, funziona solo nel momento in cui riesce ad aumentare la flessibilità del destinatario e a modificare il suo bagaglio di convinzioni. Il cambiamento avverrà se riusciremo ad ampliare le convinzioni positive, correggendo le convinzioni negative.Perciò arricchiremo la metafora di suggerimenti positivi, spinte strategiche, incentivi ad agire, prefiguarazioni di traguardi raggiunti e raggiungibili. E dato che quello che metaforicamente vogliamo fare è trasferire il soggetto da qui a là, dal proprio mondo ad un altro “possibile”,dobbiamo abbattere il confine delle sue convinzioni limitanti (limiti che possono riguardare sé stesso, le proprie capacità, il senso di inadeguatezza, o riguardare il contesto: la paura di sperimentare nuove esperienze, di affrontare nuove situazioni). Allora aiutiamolo a riflettere sul proprio problema-caso, ricreandolo nella narrazione metaforicaaffinchè egli, vedendolo “fuori da sé”, cominci a percepirlo in modo diverso. Attraverso la metafora insinuiamo dubbi, illustriamo sfide, sfidiamo i limiti del destinatario mostrando altri punti di vista, comportamenti e scelte diverse, critiche alluse (gestite da personaggi di sfondo, nascosti nella storia e per questo ancor meno diretti).A questa ristrutturazione cognitiva ne seguirà una emotiva; cambieranno le sensazioni e l’approccio al problema-caso. Cambieranno le aspettative.
Linguaggio metaforico: linguaggio multisensoriale
Attraverso l’uso della metafora viene utilizzata consapevolmente la forza suggestiva delle parole per organizzare e utilizzare le potenzialità della mente inconscia.E’ sempre dal linguaggio ipnotico di Milton H. Erickson che ricaviamo le regole linguistiche per costruire il linguaggio della metafora.Chi ascolta, mentre cerca con la mente conscia il significato logico di quanto sta ascoltando, con la mente inconscia lo connette con le proprie esperienze interne.E’ bene che il terapeuta, sia consapevole della multisensorialità richiesta dai suoi interlocutori, perché il linguaggio produce un vincolo e provoca esperienze virtuali.La metafora funziona se stimola associazioni tra esperienze e situazioni reali ed esperienze e situazioni virtuali; questo avviene se tiene conto dei sistemi di elaborazione di informazioni usati dalle persone per conoscere e rappresentare il mondo.L´uomo, mentre si muove nella realtà, la rielabora a partire dalle informazioni che riceve dai suoi canali d’ingresso: i cinque sensi. Le informazioni sono poi ulteriormente rielaborate dal linguaggio. Così egli si crea una rappresentazione mentale del mondo fatta di immagini, suoni, gusti, odori, sensazioni, sempre frutto di una semplificazione del modello originario.I sistemi rappresentazionali visivo (V), auditivo (A) e cenestesico (K), indicano l’organo sensoriale privilegiato nel raccogliere ed elaborare le informazioni percepite da vista (V), udito (A), e tatto-gusto-olfatto (K).Ognuno di noi può organizzare la propria esperienza in tutti i sistemi rappresentazionali, tuttavia tendiamo a prediligerne uno sugli altri. Questa inclinazione comporta una scelta – inconsapevole, ma accurata – delle parole usate per codificare l’esperienza stessa. Le parole sensorialmente specificate, dunque, esplicitano il processo di percezione che le sottende.Sintonizzarsi sul sistema rappresentazionale dell’interlocutore è un metodo molto efficace per conquistarne la fiducia.Nella produzione linguistica, l’influenza del sistema dominante visivo si manifesta nella scelta di parole che rimandano alla vista: vedere, osservare, chiarire, focalizzare, dipingere, tratteggiare; chiaro, limpido, cristallino, nitido, brillante, oscuro, fosco, torbido; immagine, quadro, scenario, schema, colori, e così via.L’influenza del sistema dominante auditivo si manifesta nel linguaggio con la scelta di parole che rimandano all’udito: ascoltare, sentire, parlare, dire, spiegare, suonare; acuto, sordo, stridulo, forte, piano; campanello d’allarme, dissonanza e così via.Nella scrittura, chi predilige questo sistema rappresentazionale presta in genere molta attenzione anche agli aspetti paraverbali del messaggio: il ritmo, soprattutto. Le allitterazioni, le assonanze, la metrica, la lunghezza delle parole e delle frasi. I respiri e le pause. Le riprese veloci o il fluire tranquillo del testo.Il sistema rappresentazionale cenestesico organizza le percezioni del mondo intorno alle sensazioni tattili, olfattive e gustative. La produzione linguistica è qui caratterizzata da parole che appartengono alla sfera delle sensazioni fisiche e dell’emotività. Le scelte lessicali prediligono verbi come sentire, provare, gustare; aggettivi come caldo, freddo, pesante, concreto; sostantivi come odore, contatto, sapore, sensazione, attrazione.Alcuni studi di programmazione neurolinguistica sostengono che il 40% delle persone è maggiormente visivo, il 40% cenestesico e il 20% auditivo. Per questa multisensorialità il linguaggio metaforico deve essere strutturato in modo tale da riprodurre le modalità linguistiche degli interlocutori siano essi visivi (sollecitiamone l’immaginazione, accompagnando al testo, laddove è possibile, immagini; evochiamo immagini con i termini visivamente specificati), o auditivi (arricchiamo la metafora di allitterazioni, onomatopee, chiasmi), o cinestesici (adoperiamo la sinestesia).Oltre i termini sensorialmente specificati è importante inserire nella metafora operatori modali, nominalizzazioni, verbi non specificati, mancanza di indice riferenziale.Gli ausiliari volere, potere, dovere sono chiamati operatori modali perché non indicano l’azione ma il modo di eseguirla. Aggiungono al verbo principale quella particolare modalità che indica possibilità, volontà, vincoli e competenze correlate all’azione descritta, e vengono usati a seconda che si voglia far emergere dal contesto metafora una limitazione (tu devi, è necessario, bisogna), o una possibilità (tu puoi nella sua duplice accezione di potere e opportunità) o un atto di volontà (tu vuoi, nel senso di volere o pretendere). Le nominalizzazioni sono sostantivi che all’interno di una frase occupano il posto di un nome ma indicano in realtà un processo in corso, una dinamica.Le nominalizzazioni si formano con gli affissi nominalizzatori ione, mento, ità, ismo, tura, ezza, che permettono la trasformazione di un verbo o di un aggettivo in nome.Le nominalizzazioni non sono mai qualcosa di tangibile, di concreto; si tratta di nomi astratti che indicano azioni, stati d’animo ecc. In esse sono state cancellate informazioni che danno senso compiuto al discorso.A livello inconscio si è portati a riconoscere nella nominalizzazione il processo da cui essa è derivata. E’ un’attribuzione del tutto arbitraria e qui sta il gioco forza della comunicazione metaforica: il destinatario attribuirà al messaggio una fisionomia del tutto (o parzialmente) rispondente alle proprie aspettative. I verbi non specificati sono verbi qualitativi che riferiscono azioni elementari eseguibili in modi ed intensità diverse, la cui modalità è lasciata indeterminata e ambigua. Fare, pensare, sapere, capire, provare, rendersi conto, riconoscere, chiedersi, ecc.Nella metafora la modalità delle azioni non vengono né approfondite né esplicitate, perché è il destinatario che deve farlo. La scelta del verbo è importante per l’obiettivo che la metafora vuole raggiungere, per il comportamento che si vuole indurre.La metafora privilegia i termini generici come gruppo, persona, qualcuno, un luogo, una cosa, una volta, mancanti di indice riferenziale, che arricchiscono il discorso metaforico di suggestioni, per cui ognuno può riconoscersi e identificarsi nei personaggi o nelle situazioni della storia.Questa genericità linguistica e contenutistica lascia che sia il destinatario della metafora a riempire i buchi informativi con la propria immaginazione e la personale ricerca di significato associato.
«[…]Torna alle origini e diventa bambino
[i] ll tropo indica qualsiasi figura retorica in cui un´espressione:è trasferita dal significato che le si riconosce come proprio ad un altro figurato,o è destinata a rivestire, per estensione, un contenuto diverso da quello originario e letterale.Nella retorica classica, secondo Lausberg, sono classificati come tropi la sineddoche, l´antonomasia, l´enfasi, la litote, l´iperbole, la metonimia, la metafora, la perifrasi, l´ironia, la metalessi.
[ii] Ad esempio:« Egli è forte come un Leone» è una similitudine; « Egli è un Leone », è una metafora.
[iii] Per campo semantico (o di significato) si intende, in linguistica, un insieme di parole di una stessa lingua che si riferiscono alla stessa area di significati.Ad esempio, il campo semantico di una parola come fiume comprenderà parole in stretta relazione di significato come ruscello, fonte, sorgente, affluente, foce, delta, estuario e simili: queste parole, tutte della stessa classe, devono avere in comune almeno una minima parte di significato per appartenere allo stesso campo semantico. È impossibile stabilire con rigore assoluto quali parole appartengano o meno ad un campo semantico, dato che l´area di significati può essere soggettiva e cambiare di epoca in epoca o da comunità linguistica all´altra. Al campo semantico della città potranno rispondere parole come comune o insediamento e innumerevoli altre.
[iv] BARKER, P., “L’uso della Metafora in Psicoterapia”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1987. Cit. p15.
[v] KUHN T. (1979),«Metaphor in Science». In: In: A. Ortony (a cura di), Metaphor and Thought, Cambridge University Press, Cambridge [trad. it., La metafora nella scienza. In: R. Boyd, T. Kuhn, La metafora nella scienza, Feltrinelli, Milano 1983. Cit. p.48].
[vi] GAGLIASSO E. (2002), «Usi epistemologici della metafora e metafore cognitive». In: C. Morabito, La metafora nelle scienze cognitive, McGraw-Hill, Milano Cit. p.8.
[vii] Cfr. GORDON, D.., “Metafore Teapeutiche”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1992.
[viii] Cfr. BARKER. F., “L’uso della Metafora in Psicoterapia”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1987.
[ix] Erickson Milton H. “La mia voce ti accompagnerà” Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1983.
[x] Watzlawick P. “La pragmatica della comunicazione umana.” Casa Editrice Astrolabio, Roma,1967.
[xi]Boscolo L. et Al. “Linguaggio e cambiamento: l’uso di parole chiave in terapia”. Terapia Familiare n. 37. 1991